Gli albori coloniali dell’Italia
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Risoluto il problema dell’unità, si cominciò a parlare, e se ne parlava più assai intorno al 1878, del bisogno di colonie, le quali per lei, come per la Germania, non si sarebbero potute trovare altrove che nell’Africa. Si obbiettava bensì che a ciò ancora le mancavano le forze, e che l’Italia non era ben preparata; ma, se i desideri dovessero tacere e i tentativi aspettare il momento della piena preparazione, avverrebbe proprio come a colui che cautamente si proponeva di apprendere a nuotare prima di entrare nell’acqua. Si dubitava del profitto di simili imprese: ma qui la critica riguardava l’Europa tutto, che le aveva innalzate a uno dei suoi oggetti precipui, obbedendo a un impulso che rientra in quelli che un tempo si chiamavano gli oscuri disegni della Provvidenza, e perciò non si sono sottratti al calcolo utilitario. La prima mira dell’Italia, la Tunisia, involgeva a risoluzioni gravissimi, della qual cosa erano perfettamente consapevoli gli uomini di stato francesi e quelli italiani, come il Mac Mahon, che alle istigazioni del Bismark di occupare la Tunisia, aveva esclamato: “Ils veulent maintenant nous foutre l’Italie sur le dos!”, e il Corti, che alle simili offerte durante il congresso di Berlino, aveva risposto: “Est-ce que vous voulez nous brouiller aver la France?”. L’Italia poteva da ciò essere costretta a passare, come infatti accadde, nel campo delle potenze avversarie della Francia, e la Francia veder sorgere in Europa, dopo quello della Germania con l’Austria, un’altra alleanza per conservare immutato lo status quo, che era quello formatosi sulle sconfitte del ’70 e che essa ragionevolmente doveva bramare di vedere sovvertito o modificato. Ma il contrasto d’interessi tra Francia e Italia circa la Tunisia era così fatto che si poteva forse ritardarne per qualche tempo l’urto, ma non si poteva evitarlo; e troppo larga parte si è attribuita, in quel che accadde, all’abilità che parve infernale del Bismarck, il quale, in fondo, continuava un’astuzia, sempre da lui adoprata e non sempre riuscitagli, di offrire altri quel che non gli apparteneva e che stimava indifferente per gl’interessi tedeschi, e un’astuzia troppo grossolana da dovervi cader dentro, se proprio la necessità non vi ci avesse spinto. La necessità era grande per la Francia che, con le fatiche di un mezzo secolo, con molto sangue e molta spesa, aveva conquistata l’Algeria, di annettersi la Tunisia, dove intanto il numero e l’operosità degli italiani e l’influsso italiano crescevano; e per lei, che aveva maggiore efficienza internazionale e maggiori forze, stava la giustizia storica, che è diversa dalla giustizia dei tribunali, la quale non ha niente da vedere in questi casi. Stava per l’Italia, invece, l’appello a un astratto e per allora almeno immaginario tribunale, che ripartisse i beni tra i vari popoli e tenesse equamente in conto il lavoro già impiegato dagli italiani in quella terra; e, posti questi termini del conflitto, l’Italia doveva soggiacere. Ma il soggiacere stesso e l’irritazione che ne nacque, le procurarono subito, e a più riprese, nel 1884 e nel 1888, da parte della Francia, l’offerta della libera occupazione della Tripolitania; e quel che è meglio, la indussero a una politica meno fantasiosa e più “realistica”; badando a preservarsi da ulteriori mutamenti a suo svantaggio nel Mediterraneo mercé la Triplice e gli accordi con l’Inghilterra; e inoltre le fecero volgere il pensiero ad altre imprese africane, nelle quali doveva fare le sue prime prove coloniali.
E’ uno dei segni della generale crescenza italiana in quegli anni l’operosità dei suoi viaggiatori ed esploratori, soprattutto nell’Africa, che si fece intensa e come febbrile intorno al 1880, quando agli Antinori, ai De Albertis e ai Beccari si aggiunsero i Piaggio, i Camperio, i Gessi, i Casati, i Cecchi, i Giulietti, i Bianchi ed altri arditi e intelligenti, molti di essi periti di ferro o di morbi nell’ostinazione delle loro imprese. Fin dal 1867 era stata fondata la Società geografica italiana, e poi quella di sudi geografici e coloniali di Firenze, e, più speciali, la Società africana di Napoli e quella di esplorazione geografica e commerciale di Milano, con l’intento di far conoscere le vie migliori di commercio con l’Africa. L’azione dello stato si veniva fissando sulle coste del Mar Rosso, sin da quando l’apertura del canale di Suez aveva dato a quel mare nuova importanza; e nel 1881 si faceva acquisto della baia di Assab, già da oltre dieci anni posseduta dalla Società di navigazione Rubattino, e nel 1882 se ne affermava e allargava il dominio marcé un accordo con l’Inghilterra. E sempre per accordi particolari con l’Inghilterra, che tenevano il luogo di quelli che le altre potenze prendevano tra loro per ripartirsi l’ “Africa”, e preparavano l’accordo maggiore del quale si è parlato, onde attraverso l’Italia fu ottenuto alla Triplice l’appoggio inglese, nel 1885 venne occupata Massaua, sgombrata dagli egiziani, probabilmente con un disegno più largo, subito rotto dalla caduta di Kartum con la morte del Gordon, e dall’abbandono che il governo inglese dové fare del Sudan: onde l’Italia si trovò a dover allargare la sua occupazione dalla costa verso l’interno e a rivolgere le sue forze verso l’Abissinia, e ne seguì l’eccidio di Dogali. Fin da principio gli errori commessi per inesperienza così politica come militare furono parecchi, e più grossi se ne commisero in seguito; ma, per dolorosa che sia questa triviale osservazione quando gli errori costano sangue e mortificazioni, non altrimenti si riesce ad imparare, e il più saggio metodo tenuto poi nell’Eritrea e nella Somalia, e la ben diversa previdenza e risolutezza con cui fu condotta l’impresa di Tripoli, non furono possibili se non per il ricordo di questi errori. Ne è da dimenticare neppure qui che parecchi di tali errori furono commessi per un difetto di non bassa origine, pel sentimento di mitezza e umanità che l’Italia portava anche dove non doveva.
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