Re Zog d’Albania

 





Ahmed Zog, eletto presidente della Repubblica d’Albania nel 1925, fu colui che trasformò il paese in una monarchia costituzionale. Stava modernizzando l’Albania e per andare sino in fondo aveva bisogno non solo dei poteri che già possedeva, ma anche di un’autorità morale molto più forte. Oltretutto, trasformando l’Albania in un regno, la collocò su un piano di parità con le grandi potenze europee, che nel 1928 erano in gran parte monarchiche.

Tuttavia, ad un certo punto, per garantire la completa trasformazione monarchica del Paese fu necessario trovare una regina.

Molte insistenti richieste arrivarono a Zog, ancora single, affinché prendesse moglie. Gli furono presentate esponenti della nobiltà albanese e ottomana, ma già sua sorella Senija era sposata con un turco, Abdul Hamid, il figlio del sultano. Fare regina d’Albania una donna ottomana avrebbe minato l’autonomia del regno. D’altra parte, un’albanese sul trono era impensabile. Nessuna famiglia aristocratica nazionale aveva infatti un albero genealogico rispettabile. Accadde invece che, in barba ad ogni ragionamento politico, Zog vide su una rivista illustrata ungherese l’immagine di una giovane ragazza, era la contessa Geraldina Apponyi e se ne innnamorò.

Lei aveva 22 anni, era vent’anni più giovane di lui. Suo padre, il conte Gyula Apponyi di Nagy-Apony, era stato un ciambellano alla corte di Vienna. Sua madre, Gladys Virginia Stewart, era americana, figlia di un console degli Stati Uniti, che, alla morte del marito, si era risposata con un colonnello francese.

Subito convintosi a fare l’importante passo, Zog mandò il suo aiutante di campo per presentare la sua richiesta al conte Carlo Apponyi, uno zio della ragazza, incaricato di gestire la sua istruzione e la sua vasta eredità. Geraldina fu invitata alla danza di fine anno che si sarebbe tenuta a Tirana. Fu lì che i futuri sposi si conobbero.

La ragazza si imbarcò per l’Albania, accompagnata solo da un’amica e dall’aiutante di campo del re. Il ciambellano di corte la accolse a Durazzo, il 30 dicembre 1937, e la condusse in un palazzo che Zog aveva messo a loro disposizione. La notte seguente, la giovane contessa ungherese e il re d’Albania si videro per la prima volta. Non furono però soli, erano circondati dai duemila invitati al ballo! Nonostante quella circostanza permise loro di scambiarsi solo poche parole, i due si piacquero. Il 1 ° gennaio 1938, Geraldina accettò la proposta di matrimonio ed il 30 dello stesso mese il parlamento albanese approvò il matrimonio.

La cerimonia si svolse il 23 aprile, con la presenza della madre di Geraldina e di diversi membri dell’aristocrazia ungherese.

Zog volle che il matrimonio fosse risolto in un semplice atto davanti al giudice per dare l’esempio alla sua gente di ciò che volesse dire separazione tra Chiesa e Stato. Oltretutto lei era cattolica e lui musulmano e quella cerimonia laica divenne anche un simbolo della possibile convivenza tra le due religioni.

Quel giorno, tra i diplomatici esteri presenti, c’erano il duca di Bergamo, Adalberto di Savoia-Genova, cugino di Vittorio Emanuele III, e Ciano, il genero di Mussolini, Ministro agli Esteri del Regno d’Italia, ma i rapporti tra i due paesi non erano affatto sereni.

La storia dell’Albania come stato indipendente aveva avuto inizio dopo le guerre balcaniche. L’Albania era indubbiamente uno dei paesi più poveri dei Balcani, con poco meno di un milione di abitanti, musulmani e cattolici, proprietari terrieri e contadini poveri. Quasi l’intera aristocrazia terriera era musulmana, così come la maggior parte dei funzionari e funzionari pubblici, formati sotto l’Impero ottomano. Inizialmente fu creato un principato e affidato al principe tedesco Guglielmo di Wied, ma la Prima Guerra Mondiale portò alla sua deposizione ed alla nascita di una repubblica in Albania, presieduta da Zog. Nella sua ansia di modernizzare il Paese, Zog finì col contrarre enormi debiti, in particolare con l’Italia che prestò al suo governo fondi in cambio di un maggior coinvolgimento nella gestione della fiscalità albanese. Durante la Grande depressione dei primi anni trenta, il governo di Zog divenne quasi totalmente dipendente da Roma e dovette importare il grano dall’Italia. Quando l’Albania non fu in grado di pagare gli interessi dei suoi debiti contratti con la Società per lo Sviluppo Economico dell’Albania, gli italiani chiesero che Tirana si legasse all’Italia in una unione doganale e conferisse al Regno d’Italia il controllo dei monopoli albanesi dello zucchero, dei telegrafi e dell’elettricità. Fu pure richiesto che il governo albanese disponesse l’insegnamento della lingua italiana in tutte le scuole albanesi. Zog, in sfida alle richieste italiane, ordinò che le spese nazionali fossero tagliate del 30%, allontanò tutti i consiglieri militari italiani e nazionalizzò le scuole cattoliche, gestite da italiani. Non sarebbe finita così…

Il 5 aprile 1939, la regina Geraldina diede alla luce Alexander, il principe ereditario, nel frattempo Mussolini aveva chiesto a re Zog di cedere basi militari in Albania, oltre a mettere il suo esercito e la sua marina sotto il controllo dell’Italia. Ricevette un rifiuto categorico e così, proprio nel giorno della nascita del principino albanese, l’ambasciatore italiano, Francesco Giacomoni di San Savino, presentò alla corte di Tirana un ultimatum: se in due ore le proposte italiane non fossero state accettate, l‘esercito italiano avrebbe invaso l’Albania.

Zog rifiutò ancora. Sapeva perfettamente che il suo piccolo esercito e la sua debole flotta da guerra non sarebbero stati in grado di affrontare le forze armate italiane, tuttavia sperò che il popolo albanese, rinvigorito da una nuova coscienza nazionale, avrebbe opposto un’accanita guerriglia. L’invasione italiana ebbe così inizio. Zog spedì la sua famiglia verso la Grecia e si dirisse verso le montagne per organizzare la resistenza.

Non appena il re Giorgio di Grecia venne a conoscenza della presenza della regina Geraldina nel suo paese, inviò i suoi medici e un treno speciale affinchè la regina fosse condotta ad Atene. La donna aveva la febbre e soffriva di emorragia, ma non volle spostarsi dal confine. Quì, due giorni dopo, il re Zog incontrò l’intero governo, molti deputati e la maggior parte dei capi dell’esercito albanese. L’avanzata italiana era stata travolgente, non c’era stato modo di resistere, la guerriglia, che aveva sperato infiammasse l’Albania, non c’era stata. I reali accettarono allora di stabilirsi ad Atene.

Non ci volle però molto perchè la Grecia si rendesse conto di quanto la presenza di Zog fosse scomoda. Il governo ellenico aveva paura delle ritorsioni dell’Italia e così spinse Zog a lasciare il paese, a spostarsi in Francia, dove visse con la moglie nel castello di La May, vicino a Versailles.

L’invasione nazista li portò a trovare riparo a Bordeaux. Nel frattempo Ciano era riuscito a riunire un’assemblea di deputati albanesi che aveva dichiarato Zog un traditore e l’aveva detronizzato. La corona d’Albania fu offerta al re d’Italia e Vittorio Emanuele III la accettò.

Zog e la regina Geraldina scapparono a Londra, qui con grande tristezza lessero sui giornali che gli albanesi, arruolati nell’esercito italiano, partecipavano all’invasione della Grecia. Così Zog pensò di fare quacosa. Aiutato dal Ministro agli Esteri britannico pianificò di trasferirsi in Grecia e organizzò un corpo di volontari albanesi contro l’invasione italiana. Lo frenò il governo greco che pure seppe farsi valere contro gli italiani. Precipitosamente la situazione politica in Albania cambiò. Le truppe tedesche sostituirono le truppe italiane, poi i comunisti di Enver Hoxa riuscirono a prendere il controllo dell’intero paese. I guerriglieri, nel gennaio del 1946, proclamarono la Repubblica Popolare d’Albania. L’esilio dei reali albanesi continuava ora in Egitto. Solo nel 1955 Zog tornò in Francia. Morì il 9 aprile 1961 all’ospedale Foch di Suresnes, la regina e il principe Alexander andarono a vivere a Madrid.


Autore articolo: Angelo D’Ambra


Bibliografia: 

N. Rees, A Royal exile

Commenti

Post popolari in questo blog

Corrispondenza tra Vittorio Emanuele II e Garibaldi

La Dalmazia sul finire dell’undicesimo secolo